On an Island
Finalmente, con i tempi di attesa che precedono ogni uscita ufficiale riguardante il gruppo, ai primi di marzo è uscito On An Island il terzo disco solista di David Gilmour, ventidue (!) anni dopo About Face dell’84 e dodici dopo l’ultimo lavoro marchiato Pink Floyd. Ho accolto questa notizia senza particolari gioie perchè non mi aspettavo un disco eccellente e così è stato! Praticamente è stato un gran baccano pubblicitario a partire dall’inizio dell’anno attraverso internet, dove il disco era praticamente ascoltabile quasi interamente ancor prima dell’uscita ufficiale, inoltre filmati promozionali, interviste, news e quant’altro che fa rumore ha accompagnato noi fan nei mesi scorsi, poi la notizia del tour e....ben TRE date in Italia, insomma qualcosa di nuovo di cui (s)parlare! Inoltre una ricca lista di personaggi più o meno noti del circuito floydiano, compreso un rinato Wright e il ripescaggio di Bob Klose. Ma veniamo al prodotto vero e proprio, allora la confezione è molto originale (come piace a me) in cartonato e con il bordo ricoperto di una specie di velluto morbido...insomma un cambiamento rispetto alla solita confezione plastificata...e questo è un punto a favore. Le foto del libretto percorrono i temi dell’album, cioè paesaggi eterei, il chitarrista mano a mano con la moglie, insomma un’atmosfera di pace e beatitudine, quasi a rispecchiare lo stato di vita attuale del chitarrista. E finalmente alle 23.00 di sera posso dare play al lettore, mettermi sul divano e godermi la musica che parte subito con uno strumentale (Castellorizon) che rispecchia i paesaggi illustrati, a seguire le title track, la mia preferita, impreziosita anche dai cori di David Crosby e Graham Nash. The Blue è un pezzo trascinato e cantilenoso, poi si viene sobbalzati da Take a Breath un pezzo semi-energico per tornare con Red Sky At Night a volare e sentire un Gilmour dedicarsi al sassofono. Si passa poi al blues un pò old style con This Heaven per andare verso la new-age di Then I Close My Eyes. L’unico pezzo già edito (Smile) mi ha fatto sentire un pò di aria floydiana, ma molto rarefatta, mentre gli ultimi due brani (A Pocketful Of Stone e Where We Start) mi hanno accompagnato verso le braccia di Morfeo dolcemente! Insomma niente di solenne, un lavoro di un tranquillo ricco sessantenne inglese che si diverte a fare musica e deve far passare il tempo. Ma noi imperterriti continueremo a comprare i suoi dischi e a versare fiumi di inchiostro per dire la nostra.The time is gone. The song is over. Renzo Drebertelli |